La vera sfida sul cashless? Cooperare di più per competere meglio

Pubblicato il 15 Nov 2016

Domenico Aliperto

Eppur si muove, verrebbe da dire pensando al panorama italiano dei pagamenti innovativi. Da una parte le banche in cerca di nuovi paradigmi per affrontare le trasformazioni del mercato, dall’altra le società che offrono servizi finanziari ad alto contenuto tecnologico stanno riconfigurando l’esperienza dei consumatori sotto il profilo del cashless. Manca ancora la forte adesione della terza sponda, che è rappresentata proprio dagli utenti finali. Ma anche su questo versante si cominciano a notare segnali decisamente positivi: se nel 2015 il numero dei prelievi ATM è sceso del 6% rispetto all’anno precedente, l’utilizzo degli strumenti alternativi al contante è cresciuto del 10%, con i bonifici via Internet aumentati del 16% e le carte che fanno segnare un +12%. Dati confortanti che hanno supportato alcune delle tesi espresse dai relatori invitati a parlare alla prima edizione del Salone dei Pagamenti. La tre giorni organizzata da ABI (Associazione bancaria italiana) si è tenuta dal 9 all’11 novembre a Milano e ha coinvolto i rappresentanti di una filiera che – specialmente per quanto riguarda le banche – pur avendo cominciato a far sentire il proprio peso forse non ha ancora fatto i conti con la necessità di imprimere una rapida accelerazione per cavalcare un cambiamento inarrestabile che arriva dalla normativa europea con il recepimento della Psd2 e che riguarda una ricca serie di tematiche che vanno dall’Instant Payment al P2P, dalla Blockchain all’identità digitale. Aprendo i lavori, il responsabile di Nova – Sole24Ore Luca DeBiase, ha precisato che più che di crisi si dovrebbe parlare di crisalide, un bozzolo da cui le imprese e soprattutto gli istituti finanziari dovranno uscire radicalmente trasformate. «Ci sono stati grossi investimenti in tecnologia da parte delle banche, ma l’industry nel complesso non sembra troppo cambiata. Nonostante l’evoluzione di alcuni aspetti specifici, è impossibile non notare una certa somiglianza con quel che sta succedendo nella Pubblica amministrazione: è stato digitalizzato l’esistente, ma ancora troppo poco si è fatto per rivoluzionare davvero le procedure».

L’Italia è pronta al cambiamento, ecco cosa serve per attuarlo

E a proposito di PA e di PA 4.0, è proprio quel che sta provando a fare, per esempio, il Comune di Milano. Una transizione necessaria, ma non certo semplice, come ha spiegato Roberta Cocco, Assessore alla Trasformazione Digitale e ai Servizi Civici, che è entrata nel merito del tema dei pagamenti. «Dobbiamo ribaltare il paradigma, introdurre una serie di meccanismi per i quali non sarà più il Comune a offrire sportelli o a richiedere azioni da parte del cittadino, ma si porrà in ottica omnicanale dalla parte delle esigenze dell’individuo. Per noi l’ambito dei pagamenti fondamentale, la riscossione per un ente pubblico è alla base della possibilità stessa di erogare servizi ed è per questo che il Comune ha intrapreso una rotta che sta puntando sul digitale per garantire massima accessibilità agli utenti e massima trasparenza, anche per favorire la lotta all’evasione» . Cocco ha ricordato che nel 2012 la giunta Pisapia ha scelto di abbandonare i servizi di riscossione di Equitalia prendendosi incarico «un onere maggiore, che però ha permesso di risparmiare risorse, rendere più immediata la relazione con i contribuenti e migliorare la tracciabilità delle operazioni» . Oggi il comune lavora a quattro mani con AgID per implementare un registro digitale – che funga fascicolo virtuale per la raccolta di tutte le interazioni del cittadino con il Comune – e la piattaforma PagoPA che, secondo l’assessore, riuscirà a decollare solo se le persone percepiranno il vero valore degli strumenti alternativi al contante. «Servirebbe una flat fee, possibilmente inferiore al punto percentuale, sui pagamenti verso la PA effettuati con carta di credito», ha proposto Cocco rivolgendosi ai card issuer presenti all’evento.

«D’altra parte in Italia il 50% del mercato dei pagamenti è generato dalle operazioni verso la Pubblica Amministrazione. È lì che serve una vera rivoluzione che vada di pari passo con la gestione dell’identità digitale» , ha rimarcato Miro Fiordi, Presidente CREVAL e Presidente del Comitato di Pagamenti ABI. «Il sistema Paese è in marcia, i segnali ci sono: nonostante il gap con altri mercati rimanga significativo, siamo cresciuti più delle media europea. Ma bisogna riflettere e insistere sul tema degli incentivi fiscali all’utilizzo delle carte e smettere di usare il digitale semplicemente per replicare processi che esistono già».

Per Paolo Bertoluzzo, Amministratore Delegato di Gruppo ICBPI e CartaSi, le banche hanno compreso il senso della sfida, anche se al momento «la maggior parte degli istituti è occupata e preoccupata da altro. Tuttavia iniziative come la PSD2 possono rivelarsi grandi opportunità se colte nella maniera giusta». Paolo Battiston, Division President Italy & Greece di MasterCard Europe, sottolinea invece il problema della sicurezza percepita e della frammentarietà dell’infrastruttura. «Quel che manca in Italia non è certo la disponibilità di carte e terminali d’accettazione: disponiamo di 30 milioni di tessere contactless e 800 mila POS in grado di leggerle, ma le operazioni effettuate in questa modalità sono solo il 5% per un transato di 120 milioni di euro. Come industria possiamo fare certamente qualcosa in più per comunicare l’affidabilità dei pagamenti innovativi e per integrare i POS con le casse e l’ergonomia dei piccoli punti vendita. Lavorando bene, possiamo arrivare al 2020 con una quota del contactless pari al 40% delle transazioni autorizzate con carta. Un obiettivo ambizioso? In Polonia sono arrivati già all’80%» .

Il tema della sicurezza è stato centrale anche nell’intervento di Roberto Liscia, Presidente di NetComm. «Mentre, specialmente grazie alla spinta dell’e-commerce, aumenta il numero di transazioni elettroniche, le frodi in percentuale diminuiscono: il cliente digitale è però sempre stato il più tutelato sotto il profilo legale. La paura quindi è mal riposta, ma questo a maggior ragione vuol dire che è necessario impegnarsi di più per diffondere la cultura e la pratica dei pagamenti digitali in Italia».

La sfida principale? «Adottare le nuove tecnologie in modo integrato per disintermediarci – prima che lo facciano altri player – per riproporci con servizi innovativi, senza dimenticare che ci sono dei costi e dei margini che vanno ripartiti su tutta la filiera. In questo senso» , ha concluso Fiordi, «i vari attori del mercato devono imparare a cooperare di più per competere meglio».

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