Pagamenti digitali, Piccioni (Nexi): “L’Italia ha accettato la sfida”

L’Head of Innovation della paytech: “L’obiettivo è di recuperare terreno rispetto alla gran parte dei Paesi europei. Come PayTech italiana del mercato, noi daremo il nostro contributo affiancando le nostre banche partner e offrendo loro servizi altamente innovativi da mettere a disposizione dei loro clienti

Pubblicato il 21 Dic 2018

PIccioni-Alessandro-Nexi

L’innovazione nei pagamenti digitali ha iniziato a essere un business promettente anche per l’Italia, e a dimostrarlo c’è il fatto che si registrano i primi casi di “rientri di cervelli”: giovani talenti che si sono formati e hanno iniziato a far valere le proprie competenze all’estero, e che decidono di tornare in Italia per misurarsi con le sfide che il Paese sta iniziando a raccogliere. E’ il caso di Alessandro Piccioni, 30 anni da poco compiuti che si è formato all’Mit di Boston e che da un anno e mezzo, dopo la sua esperienza in Bain&Company a New York, Mosca e Londra, è in Nexi dove oggi ricopre la carica di Head of Innovation, a diretto riporto del Business Development Director, Roberto Catanzaro. Oggi Piccioni guida un team di 15 persone che è impegnato su PSD2 e Open Innovation, digital disruption, alternative rails, data driven technologies e Blockchain. In un’intervista a Pagamenti digitali spiega cosa lo ha spinto a questa scelta, e quali prospettive offre oggi il mercato italiano delle fintech.

Piccioni, lei guida un team di innovatori all’interno di un’azienda già di per sé innovativa rispetto al panorama italiano. Qual è la vostra principale missione?

Sono tornato in Italia quasi per caso, chiamato per costituire un nuovo team dedicato all’innovazione in Nexi, per contribuire a disegnare il percorso di trasformazione digitale, culturale e tecnologica dell’azienda.  Non è stato facile dal punto di vista personale, perché ha significato cambiare continente e spostare la famiglia, ma il motivo per cui ho accettato di farlo è stato la voglia di contribuire a portare a compimento il nuovo percorso di Nexi. L’azienda aveva tutti i presupporti per ottenere successo e ora siamo nel mezzo del percorso. C’è un management team forte, shareholder con piani di investimento importanti in Italia, la possibilità di incidere e dare posizioni di rilievo a persone under 30 e under 35, che in Italia non è una particolarità banale.

Cosa è cambiato negli ultimi 18 mesi nel contesto fintech e all’interno dell’azienda?

E’ cambiato molto, specialmente nei pagamenti digitali, che sono un po’ la frontiera del cambiamento nei financial services, il primo punto di contatto con i consumatori. Il settore è stato investito da un’ondata di innovazione, con l’arrivo ad esempio di Apple pay, Google pay, Samsung pay, l’introduzione di application di analytics, l’avvento della Psd2 e la prospettiva dell’open banking. E’ un periodo molto molto dinamico, di cui siamo stati protagonisti con l’avvento in Italia dei mobile payment: siamo stati tra i primi a portare Google pay ed Apple pay in Italia mettendoli a disposizione delle nostre banche partner, e ad aver sviluppato prodotti customer centrici  per clienti che vogliono erogare servizi in maniera intelligente. Come nel caso del progetto degli Smart Pos. Per la Psd2, infine, siamo stati scelti dal Consorzio CBI per fornire la piattaforma infrastrutturale che permetterà lo sviluppo dell’open banking in Italia, e lavoriamo per arrivare in tarda primavera all’inaugurazione della piattaforma. Tutto questo lo abbiamo fatto in stretta collaborazione con le banche, alle quali vogliamo offrire i servizi e i prodotti migliori per i loro clienti.

Quali saranno i principali trend tecnologici su cui si indirizzerà Nexi, e più in generale il mercato, per il 2019?

Quello che a me pare molto “caldo” in questo momento è quello degli invisible payments e del multichannel. Siamo impegnati, anche con le più recenti acquisizioni, a fornire soluzioni tecnologiche per pagamenti in app e in store, dando ai grandi merchant la possibilità fornire soluzioni di pagamento seamless all’interno dei negozi, senza dover necessariamente passare da una cassa o da un totem automatico, come avviene oggi nei centri di grandi distribuzione organizzata. Il trend è quello dell’integrazione tra e-commerce e canale fisico, che determinerà maggiori investimenti e su cui stiamo puntando per rinnovare la nostra offerta per il retail. Un altro aspetto è la crescente attenzione all’onboarding dei clienti: sempre più fintech si concentrano su questo punto, cruciale perché l’utente prenda fiducia e abbia fin dall’inizio una considerazione positiva dell’app o del servizio che sta utilizzando. L’obiettivo è di rendere il primo contatto con il cliente sempre più veloce, sicuro e piacevole. Proprio nell’ottica della consumer centricity abbiamo creato Yap, un’applicazione che consente il mobile payment e lo scambio di denaro, che proprio della semplicità di utilizzo fin dal primo contatto con l’utente fa il proprio punto di forza. La consumer centricity negli Stati Uniti è un approccio ormai consolidato, mentre in Italia e in Europa ha iniziato ad affermarsi soltanto in tempi più recenti: prima si parlava sempre di prodotto, ora si parla molto di più di cliente, che sia una banca o un utente finale. Per noi le banche sono centrali e sappiamo che i loro clienti, siano essi imprese o privati, sono centrali per loro: cerchiamo di supportarle per permettergli di offrirgli servizi su misura.

Che lettura da della situazione italiana nei pagamenti digitali e nell’innovazione in campo finanziario, anche rispetto alle sue esperienze all’estero?

La vera differenza riguarda l’approccio verso la sperimentazione. Le istituzioni finanziare americane hanno avuto un approccio molto più aperto rispetto all’innovazione, e non sono sulla difensiva rispetto alle Fintech. Mirano a collaborare per rendere il proprio business model più smart e più attraente per i consumatori: molte delle principali banche statunitensi hanno da tempo investito direttamente con capitali e partnership su player specializzati, e si sono dimostrate più aperte a cambiare culturalmente accettando approcci diversi rispetto a quelli a cui erano storicamente abituate. Oggi se ne comincia a parlare anche in Europe e in Italia, e a interagire in maniera diversa. Certo, nel nostro Paese c’è sempre molta paura di sperimentare e di innovare, ma ormai si è capito che è più conveniente collaborare con le Fintech piuttosto che fare tutto in proprio partendo da zero, allungando tra l’altro in maniera considerevole il time to market. Sullo Smart Pos, ad esempio, in cui c’era la necessità di fare qualcosa di nuovo nel settore dei terminali per i merchant italiani, abbiamo scelto di farci aiutare con una business partnership da una giovane società della Silicon Valley, e in sei mesi siamo stati in grado di sviluppare una soluzione estremamente innovativa, prendendo qualche rischio e avendo la capacità di cambiare strategia in corso d’opera. E’ chiaro che scegliendo questa strada ci si assume qualche rischio, ma si tratta di rischi che se ben indirizzati portano grandi vantaggi in termini di qualità e time to market: come PayTech italiana delle banche non possiamo non percorrere questa strada.

Che tipo di interesse state registrando verso le vostre soluzioni? Cosa manca ancora al mercato italiano perché questo settore inizi a crescere in maniera più consistente?

Stiamo gradualmente superando il ritardo infrastrutturale e sperimentando un nuovo approccio culturale verso l’innovazione nel settore dei pagamenti. Abbiamo accumulato tanto ritardo nel passato, e oggi stiamo già assistendo una crescita abbastanza sostenuta. Diciamo che l’obiettivo oggi per l’Italia è quello di avvicinarsi a ciò che succede in Paesi come la Francia, che sono ancora avanti rispetto a noi, anche se quello più ambizioso è un giorno di avvicinarsi sensibilmente al Regno Unito e, chissà, ai Paesi Anglosassoni.

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