Servizi finanziari, Italia all’avanguardia sull’open banking

Secondo i dati dello studio Tink le altre principali motivazioni di investimento ci sono la compliance normativa, l’innovazione e l’automazione dei processi, i servizi di pay initiation. Intanto l’emergenza sanitaria ha impresso una decisa accelerazione alla digital transformation

Pubblicato il 16 Set 2020

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Le istituzioni finanziarie europee proseguono nel loro percorso di avvicinamento all’innovazione dell’open banking, e contemporaneamente l’emergenza causata dalla pandemia ha contribuito a dare una decisa accelerazione alla digitalizzazione dei servizi finanziari. E’ la fotografia che emerge dall’ultimo report realizzato dalla piattaforma di open banking Tink, secondo cui l’investimento medio in questo settore – che varia tra i 50 e i 100 milioni di euro – è prevalentemente destinato a casi d’uso che portano valore immediato alle attività, migliorando l’acquisizione e l’engagement dei clienti oltre che la produttività dei dipendenti.

La situazione in Europa

Così il 71% dei dirigenti finanziari intervistati in tutta Europa pone i casi d’uso sulla compliance normativa in cima alla lista dei propri investimenti, privilegiando i servizi di identità digitale, quelli cosiddetti Kyc (know your customer) e il monitoraggio dell0e transazioni. Tra i temi che emergono con più forza c’è inoltre quello del miglioramento della user experience, che vede il 36% del campione investire in servizi di gestione finanziaria, il 35% nell’automazione dei processi di onboarding ed il 33% in applicazioni multi-banking.

Focus sull’Italia

Quello italiano è secondo Tink un mercato che è già in grado di guardare oltre i temi della compliance normativa, ambito nel quale si registra un forte interesse sull’automazione dei processi Kyc, al terzo posto tra le priorità di investimento. I primi due, però, sono occupati dal miglioramento della customer experience: al primo posto i servizi di gestione finanziaria (53,3%) e al secondo quelli di Payment Initiation (50%).

È interessante notare – spiega Tink in una nota – come i servizi di Payment Initiation rappresentino la seconda maggiore area di investimento in Italia, a differenza della media europea che li vede solo settimi. Sintomo che le istituzioni finanziarie locali hanno grandi aspettative a riguardo, da un lato per via delle tante iniziative volte a contrastare il diffuso utilizzo del contante nei pagamenti, come ad esempio quello della fatturazione elettronica per imprese e partite Iva, dall’altro per la concreta possibilità di risparmiare denaro attraverso le soluzioni di Payment Initiation rispetto agli altri metodi di pagamento digitale disponibili.

La fotografia restituita dall’Italia è inoltre quella di un terreno in cui la competizione è serrata, e dove la gestione finanziaria personale è un elemento essenziale per la banca digitale, su cui le banche investono in modo significativo per non rimanere indietro e soddisfare le aspettative dei clienti.

La pianificazione degli investimenti

Il focus degli investimenti, spiega la ricerca, dipende dalle dimensioni e dalla maturità delle istituzioni: quelle più grandi come le banche tradizionali (57%) e le società di wealth management (53%) indicano come principale settore in cui investire quello dei servizi di identità digitale, mentre le “nuove banche” (challenger banks) e i Prestatori di Servizi di Pagamento (Psp) sono gli unici due segmenti in cui un caso d’uso non legato alla compliance è classificato come la principale area di investimento: nel primo caso l’automazione dell’onboarding (44%) e nel secondo i servizi multi-banking (47%).

Per completare il quadro c’è poi da aggiungere che le piccole e medie imprese si stanno concentrando sulla semplificazione dell’esperienza del cliente, mentre le grandi organizzazioni sono più focalizzate sui servizi di identità digitale (42%).

Marie Johansson: “Italia mette al primo posto l’esperienza del cliente”

“Considerato che la maggior parte delle banche ha ancora tanta strada da fare per raggiungere la compliance, è comprensibile che molte istituzioni finanziarie continuino a concentrarsi su quest’area di investimento, ma siamo anche felici di constatare come in Italia si sia passati ad uno step successivo, quello per cui – prima di tutto il resto – arriva l’esperienza da assicurare al cliente”. A sottolinearlo è Marie Johansson, Country manager di Tink in Italia, che aggiunge: “L’Italia ha già compreso come, complice il Covid che accelera il passaggio ai canali digitali, le istituzioni finanziarie abbiano l’opportunità unica di ottimizzare l’acquisizione e la fedeltà del cliente, migliorandone ulteriormente l’esperienza. Guardando oltre la compliance normativa e investendo in casi d’uso di open banking che supportano la customer experience, gli istituti tradizionali potranno stare al passo con i loro principali competitor, come challenger banks e Psp”.

Poste Italiane e l’Open banking

Tra gli use case emblematici della predisposizione del sistema finanziario italiano all’open banking Tink cita Poste Italiane, che attraverso la digital transformation punta a diventare una platform company con due obiettivi: potenziare l’app PostePay con servizi di payment initiation per consentire ai propri utenti di ricaricare la carta prepagata trasferendo i propri fondi da una banca ad un’altra, e aggregare ulteriori conti bancari nell’app di Poste per incoraggiare il cliente a gestire tutte le proprie finanze attraverso un’unica interfaccia. “Poste ha lanciato il progetto ‘PSD2’ con l’idea di cogliere le opportunità offerte dalla Direttiva Europea e di assumere un ruolo proattivo, abilitando diversi casi d’uso – commenta Guido Crozzoli, chief information officer di Poste Italiane – Abbiamo l’ambizione che i nostri canali diventino l’interfaccia preferita dei nostri clienti, attraverso cui offrire i servizi della piattaforma ecosistemica di Poste.”

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