Bassilichi: 4 tappe per l’ePayment

Pubblicato il 12 Feb 2014

Daniele Lazzarin

Marco Di Cosimo, Direttore Pianificazione Strategica di Bassilichi

E’ noto che l’Italia ha percentuali d’uso del contante ancora alte rispetto agli altri Paesi avanzati, con forti aggravi di costi (amministrativi, di sicurezza, di trasporto, ecc.) e di rischi di evasione fiscale. Per questo, molte sono le iniziative istituzionali in atto per facilitare i pagamenti elettronici, tra cui l’obbligo di POS per commercianti e professionisti tanto discusso nelle ultime settimane, ma anche una proposta di legge di Sergio Boccadutri, deputato di SEL, per limitare l’uso del contante e promuovere la moneta elettronica. Proposta che è stata presentata pochi giorni fa alla Camera dei Deputati in un workshop che ha visto l’intervento di una ventina di operatori del settore, tra cui Bassilichi, specialista a livello nazionale di Business Process Outsourcing nella Monetica, che gestisce circa 250mila POS, cioè circa il 20% dell’installato di questi dispositivi in Italia.

«Abbiamo incentrato il nostro intervento sull’esercente, che per noi è la figura chiave per promuovere l’uso della moneta elettronica in Italia», ci spiega Marco Di Cosimo, Direttore Pianificazione Strategica di Bassilichi. «L’obiettivo è capovolgere la situazione odierna in cui è il cliente che chiede “posso pagare con carta di credito o bancomat?”: dev’essere l’esercente a chiederlo, percependo che la transazione elettronica è vantaggiosa e non penalizzante».

Si parte da un dato di fatto: «Per un esercente medio che fattura 300mila euro l’anno, di cui circa il 25% con carte di credito e bancomat, la moneta elettronica costa annualmente 750-950 euro tra costi fissi e commissioni, mentre il contante costa 1000-1500 euro l’anno, tra sistemi di allarme, assicurazioni, danni da furto, falsificazioni, quadrature contabili e così via».

«Non si può ridurre il contante solo con obblighi e divieti»

Il problema è farlo percepire capillarmente agli esercenti italiani, e questo, secondo Bassilichi, richiede un percorso in quattro tappe. «La prima è fare cultura e divulgazione: non si può ridurre l’uso del contante solo per mezzo di obblighi e divieti, il cittadino deve capire che l’e-payment gli conviene anche attraverso pubblicità, campagne di comunicazione e un lavoro di sensibilizzazione che deve partire dalla promozione della cultura della tracciabilità fin dalle scuole».

Il secondo caposaldo è una revisione delle “interchange fee”, le commissioni interbancarie. «La UE, all’interno della revisione della direttiva sui servizi di pagamento (PSD), ha presentato una proposta di limitazione di queste fee, su cui, secondo noi, il Governo e il Parlamento italiani dovrebbero riflettere: non siamo per una riduzione indiscriminata, ma è un fatto che negli ultimi anni ci sono stati molti progressi nella sicurezza delle transazioni elettroniche, per cui le fee dovrebbero riflettere questa riduzione dei rischi nei circuiti interbancari».

La terza linea d’intervento si basa sulle agevolazioni fiscali. «Abbiamo proposto di incentivare gli esercenti che arrivano a transare con il POS una percentuale di fatturato oltre una certa soglia, per esempio il 50%, con la deducibilità, per esempio del 20%, dei costi della moneta elettronica». Questo avrebbe un costo per lo Stato di circa 250 milioni l’anno, «ma la copertura sarebbe ampiamente garantita dai minori costi sociali e dall’emersione del sommerso: consideriamo che oggi le transazioni tracciabili sono circa il 25%, e con una misura come questa potremmo quasi raddoppiare questa percentuale».

La quarta proposta è di lavorare su una tipica caratteristica italiana: «Il nostro non è solo il Paese avanzato con il minor numero di transazioni elettroniche, è anche quello con il maggior importo della transazione media: bisogna favorire le microtransazioni sotto i 20 euro, quelle con cui si pagano il caffè, il giornale o le sigarette».

«POS: non è un obbligo, è salvaguardia dei diritti del consumatore»

Un problema, sottolinea Di Cosimo, è la mancanza di standard d’interoperabilità tra i sistemi di “borsellino elettronico” e “Mobile Wallet” delle varie catene di GDO ed esercenti. Inoltre occorrerebbe eliminare la componente di costo telefonico delle transazioni, come ha fatto la Francia: «Per le transazioni sotto una certa cifra si può pensare di chiedere l’autorizzazione al sistema interbancario una sola volta al giorno: c’è sempre il rischio delle truffe, anche se per l’esiguità delle cifre non avrebbero molto senso, ma è possibile tenere sotto controllo anche questo con statistiche, forme di tracciabilità e blacklist pubblicamente disponibili».

Infine abbiamo chiesto a Di Cosimo un parere sulla recente norma cosiddetta di obbligo del POS: «Su questo tema sono circolate tante informazioni inesatte: non è corretto parlare di obbligo a carico di commercianti e professionisti, piuttosto il legislatore ha voluto salvaguardare il diritto del consumatore a pagare con moneta elettronica. Secondo le stime questa direttiva porterà, comunque, all’installazione di 500mila nuovi POS aumentando la concorrenza fra le banche che su questo fronte è già forte, e ha ridotto i costi fissi di installazione a livelli ormai trascurabili. Detto questo, a nostro avviso ci vorrebbe più gradualità sui tempi d’adeguamento, ma il concetto generale della direttiva è assolutamente positivo perché può dare un contributo importante alla maturazione del mercato italiano dei pagamenti elettronici e all’avvicinamento agli standard europei».

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