Sotto al tetto del contante, vi è la libera scelta di pagare con qualsiasi strumento … anche alternativo al contante!

Pubblicato il 09 Nov 2015

Roberto Garavaglia

Innovative Payments and blockchain Strategic Advisor

Roberto Garavaglia

Sull’innalzamento del tetto massimo per la circolazione del contante, che il Disegno di Legge di Stabilità 2016 prevede di triplicare rispetto agli attuali mille euro, molto già si è detto. Inchiostro versato in quantità, per lo più volto a commentare la manovra sotto il profilo politico, invece che teso ad una disamina oggettiva bipartisan, atta al fine di conseguire quella chiarezza, di cui, invece, ci sarebbe bisogno.

Al di là del (nuovo?) limite al contante e della sua effettiva attuazione, qualora al termine dell’iter legis del DDL in esame fosse realmente confermato, e al netto di ciò che appare come un’incoerenza, credo sia più utile per il lettore del nostro sito, fornire alcuni spunti di riflessione sull’effettivo impatto che una siffatta operazione, potrebbe recare alla diffusione dei pagamenti elettronici.

Se sulla minore incisività del contrasto all’evasione fiscale, dipesa dall’innalzamento della soglia massima per cui è possibile pagare in contanti un bene o un servizio, voci alterne ed antitetiche si sono udite nel corso di questo ultimo mese, sulla necessità di incrementare l’utilizzo di strumenti digitali alternativi alle banconote, un coro unanime si è vigorosamente levato. La domanda è: si può fare e in che modo?

Mentre è più che legittimo offrire la possibilità di pagare in contanti a chiunque ne disponga una certa (cospicua, in questo caso) quantità, è parimenti corretto, proprio in ossequio al medesimo principio di libertà di scelta, consentire all’acquirente di effettuare acquisti, usando carte di debito o credito, piuttosto che altri strumenti digitali di pagamento, fra cui i più innovativi come quelli basati su tecnologia mobile o wearable.

Ora, sappiamo tutti quanta refrattarietà abbia contrastato, qualsiasi tentativo di onerare l’esercente alla dotazione di un POS mediante l’imposizione legislativa e quanto, nei fatti, una simile azione abbia avuto ben poca efficacia (soprattutto se priva di sanzioni – non a caso ho parlato di “onere” e non di “obbligo” …).

Ciò detto, è altrettanto vero che il Governo, con la Legge dell’11 marzo 2014 n. 23 (Delega Fiscale 2015, di cui ho parlato in un precedente mio articolo), si era impegnato a “prevedere disincentivi all’utilizzo del contante, nonché incentivi all’utilizzo della moneta elettronica” a rafforzamento della “tracciabilità dei mezzi di pagamento per il riconoscimento, ai fini fiscali, di costi, oneri e spese sostenuti” (art. 9 – lettera f della summenzionata Delega fiscale).

L’articolo 9 della Legge 2014/23 dianzi ricordato, è stato parzialmente attuato con il D.lgs 2015/127, in materia di fatturazione elettronica, trasmissione telematica delle operazioni IVA e di controllo delle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici (Atto del Governo n. 162-bis), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 agosto 2015. Rileva osservare che in detto Decreto Legislativo, la lettera f dell’articolo 9 di cui al dispositivo primario non viene considerata, di fatto richiedendo un’attuazione delle previsioni de quo, ad oggi non ancora datasi.

Il 22 gennaio scorso, era stato presentato in Senato un Disegno di Legge[1] su iniziativa di quattro parlamentari, che proponeva, per gli esercenti “onerati” all’installazione del POS, l’introduzione di benefici fiscali derivanti dall’uso di strumenti di pagamento elettronici, consistenti nella detrazione dall’imponibile reddituale del costo percentuale di ciascuna transazione, eseguita mediante i medesimi strumenti alternativi al contante. La proposta, che avanzava altresì un’ipotesi sanzionatoria per gli esercenti che non si fossero muniti di strumenti di pagamento elettronici per gli incassi superiori a 30 euro, appare a tutt’oggi abbandonata a sé stessa. Assegnata alla 6ª Commissione permanente (Finanze e tesoro) in sede referente il 17 marzo 2015, non ha ancora iniziato l’esame … (che sia stata ritirata?).

Il combinato disposto di questi ritardi, relativi ad azioni che l’Esecutivo avrebbe dovuto e potuto avviare, non depone a favore di quella domanda di libera scelta, poc’anzi emarginata, concernente la possibilità di pagare con cellulare o con altri strumenti alternativi al contante, a prescindere dall’importo.

Ma, abbiamo detto, il coro di voci a sostengo della diffusione dei pagamenti elettronici è unanime. Proseguiamo, dunque, la nostra analisi e domandiamoci se, lato sistema bancario, è possibile attendersi qualche aiuto in questa direzione.

Il 9 dicembre 2015 entrerà in vigore la disposizione del regolamento (UE) 2015/751, che fissa un limite alle commissioni dei pagamenti con carte (le cc.dd. “Interchange Fee”). La contrazione imposta dal regolamento Europeo, produrrà un potenziale beneficio economico per gli esercizi commerciali, che accettano carte di debito e credito. Questa fee, infatti, rappresenta una componente significativa delle commissioni pagate dall’esercente alla banca acquirer (le cc.dd. “MSC”); ne consegue, dunque, che il tetto applicato a tale commissione, potrà generare un risparmio complessivo per l’esercente in fase di accettazione.

L’interchange fee è, però, anche uno dei principali elementi di remunerazione degli issuer e il “cap” previsto dal nuovo dispositivo comunitario, crea, inevitabilmente, una riduzione dei ricavi per gli stessi; un impatto negativo per gli emettitori di carte Europei, che Boston Consulting Group stima in 8 miliardi all’anno[2].  Tale effetto potrebbe riversarsi, altrettanto negativamente, sul consumatore-titolare della carta, mediante l’aumento di costi come la Card Subscription Fee, i costi di ricarica delle carte prepagate o, non ultimo, i costi per il prelievo di contanti presso ATM (pensate l’ironia del destino: si aumenta la soglia di circolazione delle banconote … ma per il prelievo delle stesse potrebbe, per tutti, gravare una commissione!)

Il regolamento (UE) 2015/751, non può dirsi, dunque, un “ottimo alleato” su cui fare affidamento per la diffusione degli strumenti di pagamento alternativi al contante, basati su carte.

È senz’altro vero che il medesimo potrebbe indurre gli esercizi commerciali a trasferire il beneficio della diminuzione della MSC verso i consumatori, ad esempio scontando il prezzo del prodotto venduto se incassato con carte di debito o credito. Ricordo che nel nostro Paese, secondo Banca d’Italia[3], all’utilizzo del contante sono riconducibili costi per circa 8 miliardi di euro (curioso, lo stesso ammontare che BCG valuta per l’impatto negativo sugli issuer …).Tuttavia, è lecito attendersi che, per effetto dello stesso regolamento, laddove aumentassero i costi per il possesso (o l’uso) di una carta di pagamento, l’impiego di tali strumenti alternativi al contante potrebbe essere fortemente disincentivato.

Quale potrebbe essere, allora, una soluzione a ciò che gli Americani chiamerebbero “the card fee conundrum”? come poter giudicare l’innalzamento della soglia del contante proposta nella Legge di Stabilità 2016, se opposta alla diffusione degli strumenti digitali di pagamento? e, soprattutto, come garantire pari opportunità di scelta dello strumento di pagamento?

L’imposizione normativa prevista dalla Delega Fiscale 2015 di cui ho dianzi narrato, allorquando fosse attuata, potrebbe rappresentare sicuramente un passo avanti. Quei “disincentivi all’utilizzo del contante” e quegli “incentivi all’utilizzo della moneta elettronica” previsti all’art. 9 – lettera f della Legge 23/2014, dovrebbero però essere sapientemente proposti.

Chi scrive è, da sempre, convinto che la sola e semplice imposizione di sanzioni, rappresenta un mero espediente tattico; a lungo termine, se non s’introducono anche forme di premiazione per i più virtuosi e di incentivazioni per i più scettici, è davvero improbabile che l’obiettivo sottostante la norma, ossia la diffusione massiva dei sistemi di pagamento elettronico, sia realmente conseguito.

Come ho già avuto modo di spiegare in passato, sul tema incentivi penso non sia bastevole un’attenzione rivolta solo agli esercenti, bensì debba potersi prevedere un appannaggio anche per i consumatori, ad esempio tramite l’applicazione di benefici fiscali per coloro che pagano con strumenti innovativi,  un po’ come è avvenuto in Corea del Sud che, tra le diverse iniziative promozionanti i sistemi di pagamento elettronico, si annovera una deduzione sull’IVA per i big  digital spender, ossia quei  consumatori che spendono più del 10% del loro reddito con carte di pagamento. Il beneficio fruito da costoro, dovrebbe contrastare (al meglio annullandone gli effetti) il rincaro sopportato dei medesimi, quale potenziale conseguenza del regolamento (UE) 2015/751.

Avviare, dunque, un sistema premiale virtuoso che agisca a livello di sistema (o, meglio, di ecosistema), per permettere realmente quella libertà di scelta dello strumento di pagamento. Questa è, a mio avviso, la strada da percorrere.

In Italia, il valore liberatorio del pagamento in moneta a corso legale è stabilito all’art. 1277 c.c. ed è rafforzato dall’art. 693 c.p., che prevede la sanzione amministrativa per chiunque rifiuti di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato. Dal 1991, dapprima con l’art. 1 della L. 193, poi sostituito con l’art. 49 del D. Lgs. 231 del 2007, la disposizione conferita dal debitore alla banca o ad altro intermediario abilitato, e da questi accettata, è equiparata al pagamento in moneta a corso legale.

In una democrazia è quindi auspicabile che non vi siano azioni limitative della scelta, e ognuno dovrebbe avere pari diritto di usare strumenti di pagamento che abbiano il medesimo valore liberatorio: banconote, carte di credito, bonifici … e tutto ciò che l’innovazione tecnologica proporrà in seguito.

Chissà se il Governo, al di là dell’innalzamento del limite alla circolazione del contante, tra buoni propositi ed apparenti incoerenze, saprà proporsi garante di questa “freedom of payment means democracy”?

NOTE

[1] “DDL 1747 – Disposizioni relative all’obbligo per i soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, di dotarsi di adeguati strumenti di pagamento elettronici per pagamenti superiori ai 30 euro”

[2] Rapporto Global Payments 2014 – Settembre 2014

[3] Il costo sociale degli strumenti di pagamento in Italia – Banca d’Italia – Novembre 2012

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