Del presunto “Obbligo POS”: quando la norma è debole …

Pubblicato il 17 Lug 2014

Roberto Garavaglia

Innovative Payments and blockchain Strategic Advisor

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Roberto Garavaglia

Siamo giunti a una nuova puntata della saga “Obbligo POS”. PagamentiDigitali ha dedicato molta attenzione al tema, con articoli antesignani, che avrebbero potuto illuminare i percorsi della consapevolezza, laddove realmente fossero stati intrapresi.

Sono trascorse oltre due settimane dall’entrata in vigore del Decreto “Sviluppo-bis” (dell’ottobre 2012), che ha fissato il termine ultimo di vigenza al 30 giugno, per la disposizione di un onere (e non di un obbligo, è bene ricordarlo!) in capo al commerciante, relativamente all’accettazione dei pagamenti con carte di debito. Questo lasso temporale, in cui più che la norma è stato vigente il caos,  ha avuto ieri un primo giro di boa.
Attese le forti pressioni da parte delle Associazioni di categoria, che hanno espresso preoccupazione in merito all’aggravio di un costo per l’utilizzo del POS, sia nella propria componente fissa (installazione, canone, flat fee) sia in quella variabile (commissioni sulle transazioni d’incasso), il Governo ha convocato il 16 luglio 2014 un primo incontro tra MISE, ABI, Banca d’Italia e Consorzio Bancomat, con il fine di poter avviare un Tavolo di confronto, nel quale discutere la possibilità di intervenire sui costi legati ai pagamenti elettronici.

L’incontro, che ha avuto carattere meramente interlocutorio, non ha messo in luce particolari segnali di distensione (il Governo non sembra voler arretrare sulle disposizioni attualmente in vigore) ma, forse, è stata l’occasione per iniziare un cammino di chiarimento, in verità atteso assai più che altro ogni altro (buon?) proposito.

Credo che sia corretto, nell’interesse del lettore, riepilogare molto velocemente i passi che hanno condotto sino ad ora, l’evoluzione del quadro normativo in questione.
UN PO’ DI STORIA
Dicembre 2012

Il Decreto “sviluppo-bis”[1] del 2012 aveva disposto che, dal 1° gennaio 2014, esercenti e professionisti sarebbero stati tenuti ad accettare anche pagamenti con carte di debito. Con uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il MEF e sentita la Banca d’Italia, avrebbero dovuto essere disciplinati gli eventuali importi minimi, le modalità e i termini di attuazione di tale disposizione; con i medesimi interventi attuativi, avrebbe, altresì, potuto essere disposta l‘eventuale estensione degli obblighi ad ulteriori strumenti di pagamento elettronici, fra cui quelli che adottano tecnologie mobili.
Gennaio 2014

Il 24 gennaio 2014 il MISE, di concerto con il MEF, ha emanato un provvedimento[2] che dà attuazione a quanto disposto dal Decreto “Sviluppo-bis”. Il decreto interministeriale entra in vigore 60 giorni dopo la pubblicazione e dispone le regole di accettazione obbligatoria delle carte di debito, come modalità di pagamento per l’acquisto di beni, servizi e prestazioni professionali, di importo superiore ai 30 euro. In sede di prima applicazione ed al fine di individuare criteri di gradualità e sostenibilità per la completa entrata in vigore della norma, fino  al  30  giugno  2014 l’obbligo si  applica  solo  ai  pagamenti effettuati a favore di esercenti, il cui fatturato dell’anno precedente sia  superiore  a  200 mila euro. Un successivo decreto, da emanarsi entro novanta giorni, potrà individuare nuove soglie e limiti minimi di fatturato, così come estendere l’obbligo a ulteriori  strumenti  di  pagamento elettronici, anche con tecnologie mobili.

La previsione di entrata in vigore del decreto MISE-MEF del 24 gennaio 2014, fissata a 60 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ha posto inevitabilmente le condizioni di una vacatio legis , i cui effetti sarebbero dovuti essere debitamente considerati; diverse sono le possibilità d’intervento durante tale periodo, l’occorrenza delle quali può impattare sullo scenario attuativo.
Ciò che è accaduto non ha sconfessato la previsione d’instabilità attuativa. Infatti, durante l’iter di conversione in legge del decreto c.d. “Milleproroghe”[3] , il Parlamento ha proposto alcuni emendamenti che sono intervenuti proprio sull’articolo 15, comma 4 del decreto “Sviluppo-bis”, spostando dal 1° gennaio 2014 al 30 giugno 2014 la decorrenza di quanto disposto.

Risultato? non essendo intervenuti ulteriori provvedimenti attuativi (ma attenzione, con ciò non è detto che possano soppravenirne altri nei prossimi mesi …), i “criteri di gradualità e sostenibilità per la completa entrata in vigore della norma” menzionati del decreto interministeriale della fine di gennaio, hanno ceduto il passo all’incedere di una norma primaria, modificata ipso facto da un altro decreto legge.
Il Diavolo è nei dettagli … (o, per meglio dire, era già nei dettagli!)

Ma torniamo ad analizzare nel dettaglio il dispositivo del decreto “Sviluppo-bis” dell’ottobre 2012, all’art.15 comma 4 : “A decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l’attivita’ di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche  pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 ”.

Un’attenta lettura dell’art.15 comma 4 più sopra riportato, avrebbe potuto suggerire già allora (ossia due anni fa) che i commercianti sarebbero stati tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Proprio per via di quel “anche”, la previsione di obbligatorietà si poteva intendere fortemente attenuata, interpretandosi come ulteriore possibilità offerta all’acquirente che, esprimendo la volontà di pagare con carta di debito, avrebbe potuto chiedere all’esercente di accettare lo strumento di pagamento quale alternativa al contante o ad altri mezzi di pagamento. L’assenza – a tutt’oggi confermata, anche a posteriori del Tavolo dell’Esecutivo iniziato ieri – di altri vincoli specifici per l’esercente, nonché la mancata indicazione di penali, laddove il commerciante (o il professionista) rifiutasse di accettare lo strumento di pagamento presentatogli dal proprio cliente, non dipana i molti i molti dubbi  interpretativi, lasciando – e ciò è, a mio avviso, la cosa più sconfortante – nella più totale confusione operativa sia gli esercenti sia i consumatori.

Ma qual è il vero problema o, perlomeno, il problema che una parte, quella rappresentativa dei commercianti, solleva con più insistenza all’attenzione del Governo e dell’opinione pubblica.

L’ho accennato nell’incipit di questo articolo: i costi, qui intesi in ambo le declinazioni “commissioni sui pagamenti” (le cc.dd. “Merchant Fee”) e “noleggio POS”.

Pure in questa circostanza, è opportuno ricordare come la storia, che si dovrebbe dire “buona maestra”, ha, nei fatti, sconfessato i più sani principi.

IL DECRETO MEF c.d. “MERCHANT FEE”

Anche di questo importante intervento normativo, avevo già trattato in un mio precedente articolo; voglio in questa sede ricordare solamente alcuni aspetti dirimenti di questo decreto, spesso confusi dai più.

Il decreto del Ministero dell’Economia e Finanza in questione – pubblicato in G.U.[4] il 31 marzo 2014, entra in vigore il 29 luglio 2014 – è “figlio” del decreto “Salvaitalia”[5], il quale aveva stabilito che, entro il 1° giugno 2012, venissero  definite le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, tenuto conto sia della necessità di assicurare trasparenza e chiarezza dei costi, sia di promuovere l’efficienza economica nel rispetto delle regole di concorrenza.

Poiché le suddette regole non sono state adottate nei termini di legge da parte degli organismi del mercato incaricati, ai sensi dell’art. 12 – comma 9 e per gli effetti dell’art. 12 – comma 10 dello stesso decreto legge, le medesime avrebbero dovuto essere fissate con successivo provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d’Italia e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM).

Una prima proposta di schema del provvedimento previsto, era stata dunque diffusa dal MEF il 14 dicembre 2012; su di essa, avevano espresso parere favorevole sia l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) sia Banca d’Italia e, per essa, si era  udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi, nell’Adunanza dell’8 maggio 2013.

È importante sottolineare come con questo decreto ministeriale, non si sia intervenuti nel merito di una possibile riduzione dei costi[6], non disponendo, infatti, alcun tetto alle commissioni, ma definendo talune regole che afferiscono la trasparenza: gli acquirer sono tenuti a distinguere le commissioni da applicare per ciascuna tipologia di carta (debito, credito, prepagate) e dovranno differenziare l’importo delle commissioni, sottoponendole a revisione almeno annuale.

Sul tema delle commissioni, è invece opportuno guardare (non senza un certo cauto ottimismo) all’introduzione dei tetti massimi prreviste nella proposta di Regolamento della Commissione Europea sulle interchange fee, del 24 luglio 2013, di cui ho dettagliatamente parlato in un altro mio articolo del 26 febbraio 2014, nonchè alla rimodulazione della clausola c.d. di “non discrimination rule”, atta a favorire l’utilizzo degli strumenti di pagamento più efficienti, coerentemente con quanto previsto anche dal Green Paper della CE datato gennaio 2012 “Verso un mercato europeo integrato dei pagamenti”.
IN CONCLUSIONE …

In conclusione, la disamina “storica” dei testi legislativi e dei loro iter di attuazione, mostra come sia inevitabile sottrarsi al giudizio di debolezza, una debolezza che soggiace nei dettagli (quel “anche” già presente nel decreto Sviluppo-bis), una fiacchezza d’intervento nei tempi e nelle modalità che erano, in vero, tutte possibili (si veda la lentezza dell’iter con cui viene emanato il decreto “Merchant Fee”, nonché la pressoché totale ininfluenza dello stesso sul tema concreto delle commissioni).

Che fare? (direbbe Silone).
Un barlume di speranza (forse l’ultima) è proprio rappresentato da quel Tavolo di lavoro avviato ieri dal Governo. Con uno sguardo all’Europa (non dimenticando l’opportunità che il nostro paese sta vivendo con il semestre di presidenza del Consiglio UE), la strada che si dischiude nei prossimi mesi apre a nuovi sbocchi, che si auspicano realmente conseguibili.

Personalmente non sono incline a credere nella speranza, che vedo già come il prodotto di una sconfitta (non a caso si dice “la speranza è l’ultima a morire”). Credo al contrario che il sogno sia l’obiettivo da perseguire, nelle more di un impianto normativo … diciamo “perfettibile”; il sogno di chi, come il sottoscritto, ha sempre creduto nell’opportunità di convenire un piano comune d’azione, condiviso fra tutte le parti in gioco e rispettoso dell’interesse di ognuno.

Che sia questa l’alba di un nuovo inizio? … ad maiora!
NOTE

[1] Decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. “Sviluppo-bis”), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012,  n. 221

[2] Decreto Ministero dello Sviluppo Economico 24 gennaio 2014 pubblicato in G.U. n. 21 del 27 gennaio 2014

[3] Decreto-legge del 30 dicembre 2013 n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014 n. 15, in vigore dal 1° marzo 2014

[4] Gazzetta Ufficiale n. 75

[5] Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214

[6] L’ininfluenza sulle commissioni, era perlatro già palesemente rinvenibile nella bozza del 14 dicembre 2014

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