E se l’m-payment decollasse grazie ai distributori automatici?

Pubblicato il 07 Apr 2015

Domenico Aliperto

Una vending machine di nuova generazione

Con più di 11 milioni di smartphone dotati di tecnologia Nfc circolanti in Italia e oltre 250 mila POS abilitati per i pagamenti contactless, come è noto ciò che frena la diffusione delle transazioni elettroniche di prossimità nel nostro Paese non sono certo le infrastrutture e le dotazioni hardware. Ma il gesto, l’abitudine, la cultura, la semplicità legati al mobile payment non potranno mai essere apprezzati fino a quando il terminale per effettuare l’operazione non sarà letteralmente a portata di mano o di telefono.

Gli operatori stanno lavorando alacremente per spingere questa piccola, grande rivoluzione, convincendo gli esercenti a mettere in bella mostra, anziché nascondere, il POS direzionato verso il cliente. Ma forse nella Penisola si potrebbe puntare con maggiore convinzione su un altro strumento che rappresenta la quotidianità per milioni di consumatori, una macchina che dall’interfaccia all’hardware passando per i sistemi di connettività e il tipo di interazione offerta rappresenta l’approdo ideale per il mobile payment: la vending machine. Ovvero, come preferiamo chiamarla qui in Italia, il distributore automatico.

In Italia una buona diffusione

Sono poco meno di 2,5 milioni le macchine installate sul territorio nazionale. Dal caffè ai soft drink, senza dimenticare gli snack, i gadget e persino i prodotti di elettronica di consumo, queste mini vetrine servono ogni giorno milioni di italiani negli uffici, nei luoghi pubblici, negli aeroporti e nelle stazioni di metropolitane e ferrovie, e sono per la stragrande maggioranza dei casi (oltre il 90%, stando a quanto dichiara Confida, l’associazione di categoria che riunisce l’intera filiera del vending) connessi alla Rete. I modelli più evoluti accettano pagamenti con carte di credito, ma la connettività permette anche di comunicare alle centrali le statistiche di acquisto dei prodotti disponibili, l’esaurimento delle referenze ed eventuali guasti o disservizi.

Si tratta quindi di una straordinaria base di partenza per abilitare forme innovative di e-payment agevolando il contatto diretto che il consumatore ha già sviluppato da anni con una gestualità molto simile a quella richiesta da meccanismi che sottostanno ai mobile wallet e a sistemi, giusto per fare un paio di nomi a caso, come Samsung Pay e Apple Pay.

L’accordo Apple-Coca Cola

E infatti dovrebbe far riflettere la mossa che Tim Cook ha annunciato proprio il mese scorso. Nonostante Apple Pay sia stato lanciato solo lo scorso novembre e abbia già raggiunto 700 mila location negli Stati Uniti grazie alle partnership – già siglate o in via di perfezionamento – con circa 2500 banche in tutto il Nord America, la sete – è il caso di dirlo – di nuovi business non si è affatto placata: grazie al nuovo accordo siglato con Coca Cola, Apple Pay sarà accettato come strumento di pagamento su 100 mila dei distributori automatici disseminati in tutti gli States entro la fine dell’anno. Come spesso accade nel mondo dei fast mover, ancora una volta l’enfasi non è sulla questione tecnologica. Se per Apple l’obiettivo è garantire la user experience più semplice possibile anche quando ci si trova di fronte a un distributore di bibite, per il colosso dei soft drink l’operazione rientra nell’ottica di associare i propri prodotti a situazioni di svago e intrattenimento. Musica, video, applicazioni social: sono tutte esperienze legate allo smartphone che ben si integrano con il consumo di una lattina di Coca Cola.

L’interesse di SAP e Intel

Se poi si considera che favorire l’interazione tra telefono (o wearable, a questo punto) con la vending machine apre nuovi scenari per la profilazione dei clienti, la creazione di promozioni e campagne marketing ad hoc (su scala nazionale o locale) e la personalizzazione dell’esperienza d’acquisto attraverso la grafica digitale e l’erogazione dei prodotti. Macchine del genere esistono già: Intel ha presentato lo scorso anno a Venditalia (la fiera italiana dedicata alla distribuzione automatica) un chipset espressamente pensato per gestire funzioni avanzate di questo genere. Mentre SAP ha fatto parlare di sé all’ultimo Mobile World Congress per un sistema capace di riconoscere i clienti, servirli in base ai loro gusti e alle loro preferenze e accettare infine pagamenti Nfc.

In Italia qualcosa comincia a muoversi. Secondo Mario Majo, membro del consiglio direttivo di Confida, allo studio c’è già una app, che dovrebbe essere disponibile entro l’anno e che permetterebbe agli utenti di comunicare con i distributori automatici presenti in zona per essere riconosciuti e accedere all’offerta delle vending machine. Ancora non si sa se l’app consentirà anche di effettuare pagamenti attraverso il device. Per ora, comunque, di tecnologia Nfc sulle “macchinette” ancora non si parla.

Mentre, per esempio, Paesi emergenti come il Pakistan cavalcano l’onda e puntano con decisione su una tecnologia che promette di rivoluzionare, soprattutto nella fascia più giovane della popolazione, ogni tipo di transazione. La società Wavetec, infatti, ha annunciato l’installazione di dieci macchine in altrettante location ultraselezionate (dall’Institute of Business Administration all’Asian Institute of Fashion Design, passando per il Shaheed Zulfikar Ali Bhutto Institute of Science and Technology, il quartier generale della United Bank Limited e altre), con l’aggiunta di nuove 20-30 unità al mese fino ad arrivare a un totale di 200 distributori in tutto il Paese entro la fine del 2015. In un paio d’anni, secondo i piani, sul territorio pakistano dovrebbero essercene circa un migliaio. Fatte le debite proporzioni tra i due mercati, potrebbe essere interessante seguire l’evoluzione del progetto per valutare un’esperienza simile anche in Italia.

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