Cina, stretta sulle regole per le piattaforme di prestito P2P

Pubblicato il 11 Gen 2016

Domenico Aliperto

Istintivamente si tende a guardare verso Ovest nel momento in cui si cerca di dare uno sguardo al futuro. Ma per quanto riguarda l’ambito del fintech e dei nuovi attori che grazie alla tecnologia stanno stravolgendo il concetto stesso di banca bisogna rivolgersi all’Estremo oriente, dove si stanno già verificando tra finanza tradizionale e mondo delle startup quelle fibrillazioni e quelle frizioni che molto probabilmente contraddistingueranno i mercati occidentali nei prossimi anni. Gli oggetti del contendere? Regolamentazione, sicurezza e modelli di business, che in un contesto dinamico come quello cinese potranno, a seconda della piega che prenderanno gli eventi, far esplodere o rallentare economie e servizi fondati sui processi P2P e soprattutto sulle operazioni (dai trasferimenti di denaro ai prestiti fino agli investimenti) gestite da mobile.

Partiamo da qualche dato di scenario: oggi in Cina un quarto della popolazione effettua abitualmente pagamenti on line. Secondo Euromonitor nel 2015 le transazioni via Web e mobile hanno generato un transato da 213 miliardi di dollari, contro i 163,5 miliardi messi in circolo negli Stati Uniti. D’altra parta le proiezioni di Morgan Stanley parlano di prestiti erogati on line per un valore di 33,2 miliardi di dollari (il 43% in più di quelli negli States), con la concreta possibilità di triplicare nel corso del prossimo biennio. E Alipay, lo spin-off finanziario del colosso dell’e-commerce Alibab, conta da solo oltre 400 milioni di utenti. Tutti numeri snocciolati dal Wall Street Journal, che sottolinea come però l’azione governativa, anche sotto la pressione della comunità finanziaria tradizionale, potrebbe in qualche modo raffreddare questo exploit.

Proprio a fine 2015, infatti, l’Authority ha impostato una serie di linee guida con specifiche regole ad interim per limitare la libertà pressoché assoluta di cui hanno goduto finora le piattaforme per il credito P2P. Il loro enorme successo commerciale ha infatti portato con sé anche un numero crescente di casi di frode, come quello che ha coinvolto Ezubo, il cui portale è stato chiuso a inizio dicembre in seguito a un’indagine su una serie di attività illegali. Ezubo concedeva prestiti per 74,568 miliardi di yuan (10,4 miliardi di euro) avendo alle spalle circa un milione di investitori.

Lo stop è arrivato in un momento cruciale, quando cioè le Internet company stavano spingendo per proporre al mercato nuove soluzioni di autorizzazione delle transazioni basate su tecnologie biometriche. Secondo questa prospettiva, gli utenti avrebbero quindi potuto aprire un conto corrente on line o un account valido sulle piattaforme P2P semplicemente scattando un selfie. Il face recognition dello smartphone (come per esempio Smile to pay, proposto dal fondatore di Alibaba Jack Ma) si sarebbe occupato del resto ogni qual volta l’utente avesse voluto autorizzare un’operazione. E anche se Tim Pagett, China Financial Services Industry Leader e membro del China Consulting Executive Committee di Deloitte, sostiene che da questo punto di vista il Paese è avanti anni luce rispetto ad altre nazioni, la People’s Bank of China è stata categorica: il mercato non dispone ancora degli standard di base per garantire la sicurezza del sistema. «Le opportunità e le criticità che offre la finanza via Internet sono tra loro proporzionali, ovvero in entrambi i casi immense», conferma Joe Ngai, Director and Managing Partner di McKinsey a Hong Kong.

Uno degli aspetti più vincolanti dell’impianto regolatorio proposto riguarda l’obbligo per gli operatori P2P di affidare i fondi dei propri utenti a banche fisiche. Una mossa tesa a proteggere gli investitori, ma che – secondo qualche osservatore – potrebbe risultare inefficace, visto che la maggior parte degli istituti, attualmente, non dispone delle soluzioni necessarie a servire piattaforme che lavorano esclusivamente sull’on line e che vincolate altrimenti rischiano di veder aumentare i costi d’esercizio e perdere vantaggio competitivo. Ne è convinto per esempio Paul Shi, Chief Executive Officer di Wangdaizhijia: «Il governo dovrebbe fornire una strada precisa per raggiungere l’obiettivo e tempo a sufficienza per assicurare al mercato una transizione stabile». Wangdaizhijia è uno degli operatori di punta dell’ex Celeste Impero – come Tencent, Fincera, Dianrong e Ant Financial Services – che hanno rivoluzionato l’accesso al credito per milioni di individui fino a pochi anni fa sprovvisti di conto bancario.

Ma se alcuni grossi player saranno capaci di affrontare la stretta sulle regole del mercato, altre decine di organizzazioni più piccole, come detto, perderanno nei prossimi mesi parecchio terreno. Per Kevin Guo, fondatore e CEO della già citata Dianrong, sarà l’opportunità per spazzare via un po’ di concorrenza, anche se gli istituti tradizionali coglieranno l’occasione per cercare di mettersi alla pari con le Internet company. Ma Spencer Li, Vice President of Product di Fincera, già in discussione con alcune società finanziarie per attutire il colpo inferto dalle restrizioni, ostenta sicurezza: «Non importa quale prodotto le banche abbiano oggi a disposizione, se non sono in grado di offrire ai clienti la migliore user experience possibile».

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