I rischi di un intervento sulle commissioni merchant

Una norma o un accordo volto a regolare le commissioni potrebbe avere effetti anticoncorrenziali sulle terze parti e ripercussioni sul mercato dei sistemi di pagamento innovativi

Pubblicato il 14 Ott 2019

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Sempre più insistenti rumors nelle scorse settimane hanno confermato la possibilità che il governo intervenga sulle commissioni merchant applicate sotto un determinato importo: 5 o 10 euro. E ciò sebbene non ci sia alcuna evidenza di quanto è spesso lamentato dalle associazioni di categoria dei commercianti, ovvero che le commissioni applicate in Italia sono superiori a quelle di altri paesi europei. A tal proposito va ricordato invece come il tetto disposto alle commissioni interbancarie ha incentivato una armonizzazione delle commissioni finali applicate al commerciante nei paesi membri.

Rispetto alle ipotesi circolate, quella di un intervento normativo andrebbe sicuramente scartato. Infatti di una riduzione ex lege delle commissioni rischierebbe una forte censura per violazione dell’articolo 41, oltre che degli articoli 11, 117 e 120 della Costituzione. Si tratterebbe infatti di un vero e proprio “prezzo amministrato” che non troverebbe alcuna giustificazione, a meno di una dimostrazione fattuale che in Italia le commissioni sono generalmente più alte. Inoltre una tale disposizione non potrebbe in ogni caso applicarsi ai pagamenti trasfrontalieri, in questo caso gli acquirer offrirebbero il servizio in perdita netta. In ogni caso, il Regolamento Ue 751/15 consente agli stati membri esclusivamente di ridurre il tetto della commissione interchange (che è solo una parte della commissione applicata al commerciante) e solo sui pagamenti domestici.

Non è questa la sede per approfondire ulteriormente le motivazioni giuridiche di tale rischio di censura, ma va posta attenzione al fatto che una tale disposizione comporterebbe nei fatti l’introduzione di una vera e propria barriera all’ingresso del mercato dei micro-pagamenti elettronici (o dei pagamenti elettronici in generale) a nuovi operatori più innovativi, così finendo per chiudere indebitamente il mercato e creare posizioni di “forza” e “dominanza” degli operatori oggi presenti. Tra l’altro per una eterogenesi dei fini, una tale disposizione andrebbe a rafforzare gli strumenti di pagamento basati su carta, quando al contrario la strategia sottostante al Regolamento Ue 751/15 e alla PSD2, stimola la nascita di nuovi operatori europei che offrono strumenti di pagamento non basati su carta, le cosiddette terze parti.

Insomma, una tale disposizione cancellerebbe il vantaggio concorrenziale dei nuovi operatori più innovativi che offrono servizi di pagamento ad un costo inferiore per il merchant, rispetto a quelli basati su carta.

Altra ipotesi circolata è quella di una soluzione “contrattuale”, conseguente la moral suasion del governo sui principali operatori di mercato. Un tale accordo potrebbe prefigurare una violazione dell’articolo 101 TFUE, sanabile solo da una autorizzazione concessa dalla AGCM ai sensi dell’articolo 4, della L. 287/1990. Sempre che per tale autorizzazione, in funzione e in ragione della rilevanza degli operatori coinvolti, potrebbe persino richiedersi l’intervento della Commissione Ue.

Un tale accordo potrebbe avere come oggetto esclusivamente i pagamenti domestici non potendo ovviamente disporre sulle merchant fee applicabili sui pagamenti con  una carta emessa all’estero. Anche se l’Antitrust dovesse autorizzare l’accordo, rimarrebbe comunque vivo il rischio di effetti distorsivi sul mercato, bloccando di fatto la crescita e la diffusione (e l’ingresso nel mercato) di soluzioni di pagamento più innovativi capaci di offrire soluzioni di pagamento ad un prezzo inferiore per il merchant, sotto e sopra le soglie eventualmente considerate nell’intesa. Per questo sarebbe preferibile che ogni tipo di accordo di questo tipo avesse una durata predefinita e non eccessivamente prolungata nel tempo, dopo la quale tornare ad una piena competizione anche sulla componente statica della concorrenza, ovvero il prezzo del servizio di acquiring. E’ concreta infatti la possibilità che in ogni caso i partecipanti all’intesa, anche in ragione della loro presenza significativa sul mercato, possano recuperare i costi dell’azzeramento della merchant fee sotto determinate soglie di spesa, a valere sugli altri servizi offerti alla clientela, possibilità che sarebbe preclusa ai nuovi entranti.

A ciò si aggiunga la postilla che il postponing dell’adozione del regolamento SCA (si veda opinion EBA del 21 giugno 2019) solo sulle operazioni basate su carta, concede agli operatori di tale segmento di mercato di ritardare e comunque avere più tempo per programmare gli investimenti utili all’adozione delle misure imposte dal regolamento SCA, mentre le stesse sono pienamente vigenti e operanti (dal 14 settembre 2019) sui prestatori di servizi di pagamento non basati su carta, comprese le cd. terze parti, che hanno dovuto quindi implementare con diversi investimenti le proprie soluzioni di pagamento in tale senso.

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