Open banking: dall’Open Innovation al Personal Innovation Network

Il classico approccio aziendale all’Open innovation rischia di mitigare la spinta all’innovazione, che può essere invece favorita dal “Personal Innovation Networking”

Pubblicato il 18 Mar 2021

Open banking: per un'azienda italiana su 4 amplia il proprio business
Paolo Divizia, Senior Advisor di Swiss Crowd SA

Nella società di oggi il classico concetto di Azienda, chiusa su sé stessa e gelosa del suo “know how”, dei suoi brevetti e dei suoi talenti custoditi all’interno delle mura aziendali, è anacronistico. Il Covid-19 ha contribuito all’impennata dell’e-commerce e della diffusione dell’Open Innovation accelerando un fenomeno iniziato con la prima pubblicazione scientifica in cui si teorizza una rete di computer mondiale ad accesso pubblico: “On-line man computer communication” dell’agosto 1962, degli statunitensi Joseph C.R. Licklider e Welden E. Clark, che ha portato alla nascita di Internet e poi l’invenzione del World Wide Web da parte dello scienziato Berners-Lee nel 1991.
Tutto ciò ha permesso la condivisione di dati e dell’informazione da una parte all’altra del Globo in modo gratuito e veloce, mettendo a disposizione una banca dati globale in cui ogni utente può essere sia “ricercatore” sia “divulgatore”. Tutto ciò ha portato sempre di più le aziende a una apertura verso il mondo esterno: da qui nasce anche il termine “Open Innovation” cioè ricerca delle competenze, dell’innovazione e della ricerca al di fuori dell’Azienda, cioè nell’ecosistema composto da realtà eterogenee (startup, Enti di Ricerca, Blog, Social Network eccc.).

Il personal innovation networking

L’Open Innovation è un concetto che risale al 2003,quando ne parlò la prima volta il Prof. Chesbrough nel libro: “Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology”.  Finalmente nel 2021, su iniziativa di un brainstorming di innovatori, è nata l’idea di un “Personal Innovation Network” pensato come un paradigma che va oltre il concetto di Open Innovation aziendale. Molte idee innovative unite a una propria rete di “innovators”, cioè amici fidati e persone care con idee brillanti e disruptive, possono creare un network più potente di qualunque grande corporation a costo zero. A questo punto dunque bisogna introdurre anche il concetto di “Personal Innovation Networking” cioè l’attività di networking promossa via web o di presenza tra persone fisiche non per fare self marketing o marketing aziendale ma per dare vita a un continuo brainstorming e ad un’Innovazione continua, generando gratuitamente idee “disruptive”.In Italia per organizzare formalmente questi processi avremmo bisogno di una sorta di Ente Nazionale certificatore di Idee Innovative che dovrebbe occuparsi di autenticare e certificare le migliori idee innovative sul territorio Nazionale e supportare gli inventori di idee innovative facilitando l’accesso a investitori stranieri, a finanziamenti Europei, a mutui agevolati del MISE, consentendo loro di rafforzare la struttura delle startup innovative e promuoverle presso il Fondo Nazionale per l’Innovazione ed i migliori Incubatori Italiani pubblici come Luiss Enlabs e Polihub.

Il rischio di un approccio tradizionale alle startup

Il paradigma dell’Open Innovation invece ritiene che non sia più necessario sviluppare internamente la ricerca per generare valore, ma che bisogna sfruttare e valorizzare al meglio le migliori innovazioni esogene che il mercato offre. Purtroppo la linea di confine tra sfruttamento e valorizzazione è molto sottile e, molto spesso, le grandi realtà industriali o bancarie tendono a massimizzare gli input esterni fagocitandoli in quanto non riescono ad allineare la loro struttura al passo con i tempi. Il problema principale è che anche la migliore Startup innovativa, una volta inglobata in una realtà statica e ingessata, rischia di non poter esprimere al meglio il suo potenziale .
Questa innovazione aperta dunque è una cosa positiva ma dovrebbe essere più organizzata e sicuramente più normata, senza però essere burocratizzata. Oggi esistono sistemi di Distributed Ledger come la Blockchain dove è possibile registrate queste informazioni e, soprattutto, dove si possono convalidare e autenticare i contratti attraverso i protocolli informatici chiamati in gergo “smart contracts”.
Inoltre è utile sottolineare che nel contesto Italiano dove la maggior parte delle PMI sono a gestione familiare, la vera innovazione parte da soggetti esterni (Enti di ricerca, persone fisiche, Startup, network di persone, blog, social network ecc.). L’Open Innovation infatti presenta anche molti svantaggi come l’autenticazione della Proprietà Intellettuale, la difficoltà di quantificare i costi e benefici ex ante e la lentezza dello sviluppo delle idee se si collabora tra realtà rigide e molto strutturate che hanno background diversi (Banche, Università; Startup). Inoltre sarebbe auspicabile un progetto di coordinamento formale ma questo farebbe innalzare vertiginosamente i costi relativi al contratto tra i partners e la gestione delle varie risorse.

Nella Finanza tradizionale, ad esempio nelle Banche d’investimento tutte le operazioni di finanza Straordinaria ( cquisizione, fusione, cessione ecc.). e le altre operazioni di finanza Strutturata (definizione di un assetto finanziario più solido, la ristrutturazione del business, cambio governance in azienda, cartolarizzazioni, ABS, MBO, CDOs, CBOs ecc..) sono coperte dal segreto, nel Wealth Management tutte le giacenze su conti, le transazioni e gli investimenti sono asset estremamente riservati e anche nel Capital Markets tutte le informazioni riguardo le società quotate sono controllate dalla Direttiva Europea MAR, che definisce quali sono le informazioni “price sensitive” e disciplina la manipolazione e l’abuso di mercato. È evidente, dunque, che il sistema Finanziario di oggi è ancora acerbo per aprirsi completamente e per creare un ecosistema trasparente ed armonico con gli altri attori che lavorano nello stesso settore e ci vorranno ancora diversi anni.

L’importanza dell’Open Banking

Un altro tema molto attuale ed interessante è quello dell’Open banking, che viene riassunto nell’uso di API (application programming interface) aperte che consentono agli sviluppatori di terze parti di creare applicazioni e servizi attorno all’istituto finanziario, garantendo una maggiore trasparenza finanziaria per i titolari di conti correnti. Un’API è un’interfaccia di elaborazione che definisce le interazioni tra più intermediari software. Definisce i tipi di chiamate o richieste che possono essere effettuate, come effettuarle, i formati dei dati da utilizzare, le convenzioni da seguire, ecc. Può anche fornire meccanismi di estensione in modo che gli utenti possano estendere le funzionalità esistenti in vari modi e a vari livelli. Un’API può essere completamente personalizzata, specifica per un componente o progettata in base a uno standard di settore per garantire l’interoperabilità.

L’idea dell’API è molto più antica del termine. Gli scienziati informatici britannici Wilkes e Wheeler lavorarono su librerie software modulari negli anni ’40 per il computer EDSAC. Il termine “interfaccia del programma applicativo” viene registrato per la prima volta in un documento intitolato: “Data structures and techniques for remote computer graphics”, presentato a una conferenza AFIPS nel 1968. Un altro dato interessante è emerso il 19 febbraio 2020 quando Akamai Technologies. ha pubblicato il rapporto annuale sullo “Stato di Internet” ed ha riscontrato che da dicembre 2017 a novembre 2019 ci sono stati 85,42 miliardi di attacchi di violazione delle credenziali e circa il 20% è stato eseguito contro i nomi host definiti come endpoint API, di questi, 473.5 milioni hanno preso di mira organizzazioni del settore dei servizi finanziari. Oltre al problema legato all’hackeraggio, dunque, bisogna capire in tutto questa “apertura” quali sono i dati che realmente dovrebbero essere condivisi.

I benefici degli open data

Un altro tema da non trascurare è quello degli open data ovvero: i genomi, i dati sugli organismi, la scienza medica, i dati ambientali, il denaro pubblico che è stato utilizzato per finanziare il lavoro, il denaro che è stato stanziato presso un’istituzione governativa, i fatti che non possono essere legalmente protetti da copyright, i dati che sono necessari per il regolare processo di gestione delle attività umane ecc.. Ad esempio anche nella ricerca scientifica il tasso di scoperta è accelerato da un migliore accesso ai dati e che questi siano preservati nel tempo ed anche l’alfabetizzazione statistica trae vantaggio dagli open data. I professori, infatti, possono utilizzare set di dati rilevanti a livello locale per insegnare concetti statistici ai loro studenti.
Fortunatamente esistono diversi meccanismi che limitano l’accesso o il riutilizzo dei dati ed includono:
➢ Rendere i dati disponibili a pagamento;
➢ Compilazione in banche dati o siti web ai quali possono avere accesso solo i membri registrati o i
clienti;
➢ Utilizzo di una tecnologia o crittografia proprietaria o chiusa che crea una barriera all’accesso;
➢ Dichiarazioni di copyright che affermano di vietare (o offuscare) il riutilizzo dei dati, compreso l’uso di requisiti “non derivati”;
➢ Brevetto che vieta il riutilizzo dei dati;
➢ Limitazione dei robot ai siti Web, con preferenza per determinati motori di ricerca;
➢ Aggregare dati fattuali in “banche dati” che possono essere coperte da “diritti sulle banche dati” o “direttive sulle banche dati” (ad esempio direttiva sulla protezione giuridica delle banche dati);
➢ Accesso limitato nel tempo a risorse come le riviste elettroniche (che sulla stampa tradizionale erano a disposizione dell’acquirente a tempo indeterminato);
➢ Pressioni politiche, commerciali o legali sull’attività delle organizzazioni che forniscono Open Data.

Attenzione alle normative sulla privacy

Da tutto ciò si desume che le ultime Applicazioni, nate seguendo Direttiva Europea PSD2, che consentono di collegare tutti i conti correnti attraverso un’unica Applicazione pongono diversi interrogativi in tema di privacy. Oggetto della normativa sulla privacy sono i dati personali, cioè “qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata od identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”. Inoltre sia il Codice in materia di protezione dei dati personali (Codice della privacy) D.lgs/2003, e sia la General Data Protection Regulation emanata dall’Unione Europea nel 2016, spiegano chiaramente che la privacy non è solo il diritto a non vedere trattati i propri dati senza consenso, ma anche l’adozione di cautele tecniche ed organizzative che tutti, compreso le persone giuridiche, devono rispettare per procedere in maniera corretta al trattamento dei dati altrui.
Un altro tema molto importante è la violazione della legge sulla Privacy in quanto un flusso così grande di informazioni potrebbe causare problemi deontologici di non facile gestione, si dovrebbero specificare infatti i tipi di dati trattati o conservati, garantire il diritto di accesso, vietare qualsiasi forma di intervento e di consultazione su di essi da terzi senza espressa autorizzazione del cliente e consentire il monitoraggio alle Autorità di Polizia Giudiziaria (Guardia di Finanza, Carabinieri ecc..) al fine di impedire la compravendita dei dati degli utenti e di sanzionare innovazioni con finalità di terrorismo o di divulgazione di false notizie.

Una tecnologia che aiuta l’uomo

Alla luce di tali riflessioni bisognerebbe riprendere dunque la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata il 7 dicembre 2000, in cui vengono citati anche i diritti moderni, quelli che derivano da alcuni sviluppi della tecnologia, come la tutela dei dati personali ed interrogarsi se l’Open Innovation sia realmente garante della Democrazia. Anche perché questi diritti possono sembrare nuovi ma i primi ad affrontare il tema, da un punto di vista speculativo, furono i filosofi greci più di duemila anni fa, in particolare Aristotele e gli Stoici, che affermarono l’esistenza di un diritto naturale, cioè di un insieme di norme di comportamento la cui essenza l’uomo ricava dallo studio delle leggi naturali. La domanda che dovremmo porci quindi è la seguente: “la Tecnologia può davvero aiutare l’Uomo a far valere i suoi diritti o non è altro che uno strumento di controllo che trasforma le persone e le loro interazioni in numeri su cui fare statistiche?”.

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