Nuovo Codice del Consumo, l’impatto sulle commissioni per i pagamenti sarà minimo

Pubblicato il 17 Mar 2014

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Alessandro Longo

Nonostante il nuovo Codice del Consumo, di cui abbiamo dato di recente notizia, forse continueremo a pagare di più un bene o un servizio quando usiamo carte di credito o bancomat invece dei contanti. Il dubbio espresso nel nostro precedente articolo, ha trovato riscontro presso alcuni esperti di norme di settore intervistati dal nostro sito. Il motivo è negli ampi margini di discrezione che la nuova legge concede a chi riscuote il pagamento (professionisti, aziende, esercenti…).

La legge (decreto 21 febbraio 2014 pubblicato l’11 marzo in Gazzetta Ufficiale) modificando il Codice del Consumo all’articolo 62, dice che dal 13 giugno non sarà più possibile “ imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l’uso di detti strumenti, ovvero nei casi espressamente stabiliti, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista”.

Cioè: quando compriamo qualcosa, possono addebitarci per la transazione solo un costo pari a quello (di commissione) che l’azienda stessa ha subito. «E’ un passettino avanti che riduce la discrezionalità finora regnata in questa materia, ma non risolve il problema fondamentale e temo che non cambierà niente», dice Marco Pierani, responsabile rapporti istituzionali di Altroconsumo.

Il problema: «potranno ancora farci pagare di più l’uso di moneta elettronica invece di contanti, per compensare i costi di commissione versati alle banche. Non solo: i siti possono continuare anche ad addebitarci costi superiori per l’uso di alcune particolari carte di credito, rispetto ad altre. Può capitare infatti che l’azienda abbia accordi con certi circuiti e quindi paghi meno la commissione. Allora potrà far pagare la differenza agli utenti che usano carte di credito diverse», aggiunge. «Ciò che diventa illegale adesso è la discrezionalità di questo sovrapprezzo. Cioè non potranno farci pagare costi ulteriori a quelli di commissione, che magari alcuni siti applicavano a mo’ di penale per orientare il consumatore verso carte di credito a loro gradite». «Per di più, il principio ha un carattere di aleatorietà perché per il consumatore è difficile verificare quali siano i veri costi subiti dall’azienda». «La nuova norma avrà un impatto limitato; le aziende potranno aggirarle in vari modi», dicono dalla Direzione Tutela dei Consumatori in Agcom (Autorità garante delle comunicazioni).

Insomma, per eliminare qualsiasi sovrapprezzo sull’uso delle carte di credito, le aziende dovrebbero evitare di girare sull’utente i costi di commissione. Dovrebbero insomma accollarseli, alla luce dei vantaggi che derivano loro dall’uso della moneta elettronica al posto del contante. Il punto è che questi vantaggi sono poco compresi; in altre parole i costi nascosti del contante sono ignorati dagli esercenti, come spesso rilevato da Abi (al netto di coloro a cui fa comodo il contante per l’evasione fiscale). C’è un’asimmetria di fondo. I costi associati al contante non sono girati all’utente, ma solo quelli per le carte di credito; di qui un disincentivo che non si riesce a eliminare davvero sulla moneta elettronica.

Una via d’uscita? Se è vero che l’uso del contante è un costo per tutto il sistema Paese, forse possiamo decidere di ridurlo investendo in incentivi pubblici agli esercenti sui pagamenti elettronici. È il senso della proposta di legge appena depositata alla Camera da Sergio Boccadutri (Sel).

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