PSD2, i timori per una rivoluzione annunciata

Come per ogni rivoluzione che si rispetti, l’entrata in vigore della PSD2 non è scevra da polemiche e da non poche renitenze, soprattutto da parte di chi, nell’ultimo anno, ha preferito muoversi in difesa, invece che lavorare sulla innovazione

Pubblicato il 13 Set 2019

Con la PSD2 sembra di essere tornati al GDPR.
Nonostante sia entrata in vigore a gennaio 2018 e assuma da ora piena efficacia, è adesso che dubbi e perplessità prendono pieno vigore.
Così, basta scorrere i titoli che emergono da una banale ricerca su Google per leggere di banche “spazzate via dalla UE”, di miliardi a “rischio”, di modelli “cui tutti siamo abituati” che scompariranno – letteralmente – a partire dal 14 settembre.

Lasciando da parte i toni catastrofisti, è evidente che siamo giunti a una svolta importante, un passaggio epocale verso un vero “mercato unico digitale europeo” del quale potrebbero beneficiare sia le imprese, sia i consumatori.
E come sempre accade nelle trasformazioni digitali, chi non avrà colto l’opportunità di innovare e rinnovarsi rischia di restare all’angolo, superato, in questo processo di innovazione, da nuovi player, nello specifico dalle Fintech, sicuramente più agili, innovative ed economiche.

PSD2: due pilastri irrinunciabili, più uno

Un invito all’innovazione che non è stato colto da chi ha preferito difendere le proprie posizioni, invece che pensare a ridurre costi e commissioni per i propri clienti o lanciare nuovi servizi di pagamento.

Di sicuro gli operatori bancari tradizionali sono le realtà maggiormente toccate da una rivoluzione costruita su due pilastri non da poco:

  • La volontà di promuovere la digitalizzazione nei pagamenti, a tutto svantaggio dell’utilizzo del contante (e in qualche misura anche rafforzando le policy che vedono nella riduzione del contante circolante una delle forme più efficaci di contrasto all’evasione fiscale)
  • La necessità di ribadire che la titolarità dei dati appartiene ai clienti e non certo alle banche

Su tutto questo si innesta un terzo elemento: nessuna rivoluzione digitale può prescindere dalla sicurezza: ecco allora che con PSD2 entra in vigore anche la Strong Customer Authentication, che prevede una doppia procedura di controllo per ridurre il rischio di frodi nel caso di pagamenti digitali.
Via i token, dunque, a favore di sistemi basati sui dispositivi mobili.
E anche in questo caso, nei mesi scorsi, non poche sono state le polemiche, soprattutto per l’infondato timore che questa sostituzione obbligasse le fasce più deboli della popolazione (in particolare gli anziani) a dotarsi di smartphone per poter accedere ai servizi.

Una questione culturale

Resta poi un tema culturale, che nel nostro Paese rappresenta da sempre un vulnus: la scarsa propensione all’utilizzo degli strumenti digitali di pagamento.
Se all’estero i pagamenti digitali raggiungono l’80% del totale, l’Italia è ferma a un 25%, se pure in crescita rispetto agli anni passati.

E forse è anche in considerazione di questa scarsa propensione che la PSD2, che, evidentemente sembra fatta su misura per promuovere i new digital payment, viene raccontata come misura destinata a “tassare il contante”, penalizzare i piccoli commercianti, introdurre complessità per l’utente finale.
In realtà, la vera complessità è in capo agli operatori del settore e per i merchant, che dovranno adeguare le loro piattaforme alla Strong Customer Authentication, e riguarda la sicurezza e la riservatezza dei dati.
Per il consumatore, la vera opportunità sta nella possibilità di scegliere lo strumento più adatto alle proprie esigenze, esattamente nel momento in cui si trova nella necessità di affrontare un pagamento.

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