Delocalizzare? Forse con l’e-commerce non conviene più

Pubblicato il 28 Ott 2013

Il commercio elettronico sta rivoluzionando radicalmente tutta la filiera del fashion-abbigliamento, e impone un ripensamento dell’ormai classico modello che prevede il design in Italia e la produzione delocalizzata nell’Europa dell’Est o nel Far East asiatico. «Il consumatore ormai compra just in time, e spesso avere uno stabilimento in Cina o Vietnam può rivelarsi un handicap». Questa la tesi piuttosto dirompente di Gaetano Marzotto, presidente di Pitti Immagine, e vice presidente e consigliere delegato di J. Hirsch&Co., la management & consulting company del fondo di investimento di private equity attivo nel made in Italy, nonché esponente della quinta generazione imprenditoriale della famiglia Marzotto.

Intervistato dal Corriere del Veneto, Marzotto sottolinea l’atteggiamento sempre più imprevedibile del consumatore, il quale, grazie alla possibilità di comprare sul web, si fa influenzare negli acquisti dalle notizie che gli arrivano in tempo reale, dai film che ha appena visto o dalle riviste appena lette, con un’incidenza più importante della componente emozionale, dei desideri invece che dei bisogni. In questo scenario per molti settori, e per il fashion in particolare, l’elemento più critico non è più il costo industriale del prodotto, ma la rapidità nel farlo arrivare al consumatore, in negozio o attraverso un ordine via web.

La priorità principale quindi è soddisfare le richieste in tempi brevissimi, e una conseguenza è la spinta a tornare a produrre in Italia: non per una ragione “etico-sociale” né di costi, quindi, ma per motivi squisitamente logistici, cioè per scongiurare il rischio di non riuscire a rifornire il mercato in maniera tempestiva. Non a caso, spiega Marzotto, alcune imprese italiane del settore sono ultimamente tornate a produrre in patria: nella moda l’Italia ha il vantaggio, rispetto a molti altri Paesi, di poter contare su una filiera breve e integrata di filati, tessuti, confezioni e punti vendita che permette di dare risposte immediate alla richiesta di un determinato prodotto.

Il ragionamento vale soprattutto per l’abbigliamento di fascia medio-alta, ambito in cui i marchi oggi arrivano a incassare dal 4% al 6% del fatturato con l’e-commerce, con punte fino al 10% negli Stati Uniti. I negozi online sono la vetrina più grande del mondo, sottolinea Marzotto, con milioni di clienti che comprano in contemporanea, e un’ottima sinergia tra negozio fisico e online, con il primo che rimanda al secondo se il prodotto non è materialmente disponibile in quel momento sugli scaffali.

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